Cosa ci dirà la politica domani? E soprattutto, come?



Molte cose apparentemente imprevedibili sono successe di recente nel panorama politico italiano e non solo, con il rischio prospettico di veder messi in discussione nel prossimo futuro i fondamenti della democrazia occidentale che ormai si davano per scontati.
Da una vaga preoccupazione per il futuro, nasce la domanda: è possibile allestire uno strumento di analisi che aiuti sia a impostare la comunicazione politica che a capire il rapporto fra questa e il proprio target, ovvero la base elettorale?
Si comincia ponendosi domande e si va a vedere dove porta il ragionamento.
Partiamo dalla prima: quale obbiettivo si vuole raggiungere? Trattandosi di comunicazione, quindi un oggetto composto da emittente+messaggio+ricevente, il fine è senz’altro quello di colpire il target. In questo caso si parla di elettori, con il fine di polarizzare in un senso desiderato il voto.
Si può creare in questo modo un primo asse ai cui opposti troviamo due elementi dicotomici: consenso e dissenso. Per consenso si intende la desiderabilità che un certo personaggio o una certa forza politica vincano la tornata elettorale conquistando il potere, quindi si tratta di un concetto dalla connotazione positiva. Viceversa, il dissenso riguarda il desiderio della sconfitta di una forza politica, un elemento attivo come il consenso ma dalla connotazione opposta.
Soffermiamoci ora sullo spazio euforico dell'asse, il consenso, e continuiamo con le domande. Quali sono i valori comunicabili che vengono vissuti positivamente dal corpo elettorale? Se guardiamo al recente passato e a come si siano imposti i cosiddetti movimenti populisti, possiamo trovare dati interessanti. Alla fine degli anni '80 del secolo scorso, la Lega Nord si fece strada identificandosi come un fenomeno di rottura rispetto alla narrazione politica esistente all'epoca. Questa forza politica non tardò poi ad incorporarsi nelle dinamiche che si proponeva di combattere, delegittimando così la promessa offerta dal concetto stesso di “rottura” e rendendo necessario il ricorso a termini più forti. Il Movimento 5 Stelle in Italia, come pure Donald Trump oltreoceano, non “rompono” più: “distruggono”. Basti pensare a slogan come “apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno” o concetti come "rottamazione" per capire cosa si intenda.
Questo innalzamento dei toni risponde ad una precisa caratteristica fisiologica dell'essere umano, ripresa pedissequamente da qualunque ambito della comunicazione: per il cervello, risulta più gradevole un suono che fra due è più alto, un oggetto più grande, un'immagine più colorata. Il marketing ha sviluppato più di una branca specifica per creare strategie volte a stimolare i centri più primitivi del cervello ed ottenere una reazione che, trattandosi per l'appunto di marketing, corrisponde all'acquisto di un prodotto/servizio o, in questo caso, all'elezione di un politico. Risultano più semplici da gestire e assimilare anche i messaggi polari, che offrono solo due opzioni estremamente semplificate e che in tal modo non attivano il percorso cognitivo centrale lasciando campo libero all'assimilazione euristica.
Da tali considerazioni emerge come l'elemento euforico precedentemente definito come “consenso” generi un altro elemento vissuto dal target come positivo e desiderabile. Siccome questa analisi riguarda gli aspetti formali della comunicazione, è possibile definirlo come “rumore”.
Il rumore non è da considerarsi solo il fattore più vistoso in un gruppo di elementi che ne condividono le caratteristiche fondamentali ma anche l'insieme di messaggi dai toni forti e dai contenuti contrastanti, atti a generare dissonanze cognitive. Insomma, tutto ciò che è forte, caotico, distruttivo o – più correttamente – disruptive.
Al lato opposto del primo asse che si è fin qua creato, l'elemento disforico definito come “dissenso” genera naturalmente il contrario del rumore: il “silenzio”, che non va inteso solo come assenza di rumore ma comprende anche – coerentemente con la comunicazione politica – l'omertà nell'affrontare determinati argomenti, qualunque sia il motivo.
La comunicazione, purtroppo e per fortuna, non è materia che ben si presta ad essere ridotta a due semplici oggetti opposti, quindi questa breve e blasfema analisi deve comprendere altre sfumature, altre isotopie. Ai due contrari – rumore e silenzio – si contrappongono quindi i relativi contraddittori: non-rumore e non-silenzio. Si formalizza in tal modo lo strumento di analisi a cui far afferire la situazione attuale, il quadrato semiotico.
Qualche altra considerazione sull'immagine è d'obbligo. A cosa corrispondono i termini contraddittori?
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il non-silenzio si può riferire, generalizzando, alla comunicazione centrata sulla denuncia nei confronti dell'establishment;
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il non-rumore riguarda la comunicazione politica che si potrebbe definire “vecchio stile”, fatta di programmi elettorali più o meno concreti e precise gerarchie.
Mano a mano che ci si sposta verticalmente lungo le deissi, i toni tendono ad accendersi e le strategie comunicative cambiano. Per questo motivo è stato inserito come termine neutro – lungo l'asse dei subcontrari – l'insieme di strategie che per comodità si possono definire classiche, ovvero le campagne contraddistinte da una distanza ben definita fra l'autorità vista come “soggetto attanziale”, un pubblico “destinante” ed una poltrona come “oggetto di valore”. Viceversa il termine complesso – lungo l'asse dei contrari – comprende tutte le strategie adatte ad impostare e gestire una comunicazione dai toni più vigorosi: neuromarketing, contenuti virali, tribalismo, fino ai mezzi più sporchi come il click baiting et similia.
Un breve esempio può mettere alla prova il funzionamento del modello: dal quadrato semiotico sopra rappresentato si può desumere che un messaggio di denuncia risulta gradito al pubblico, con una connotazione positivamente crescente mano a mano che tale messaggio si fa forte avvicinandosi al rumore, il che sembra ragionevolmente corretto.
L'applicazione dello schema avviene a questo punto posizionando le forze politiche all'interno dello stesso, a seconda delle rispettive strategie adottate. La diapositiva così ottenuta vuole rappresentare un minimo dinamismo, includendo i vettori dati dalle varie mosse che si succedono quotidianamente in quella che sembra una caotica partita a scacchi.
Ne verranno di seguito indicate solo tre, lasciando al lettore il divertimento di completare il grafico.
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Movimento 5 stelle (Grillo): contraddistinti fin dalla nascita da un forte rumore comunicativo non di rado tendente al caos vero e proprio, i pentastellati si piazzano molto vicini all'elemento “rumore” con piccoli spostamenti verso il “silenzio” dopo la recente svolta garantista e verso il “non-silenzio” per i continui messaggi di denuncia verso chiunque non militi fra le loro fila. La loro presenza in Parlamento e un numero sempre maggiore di enti locali governati direttamente li rende anche protagonisti di normali atti di governance, molto spesso ripresi prima di essere collocabili verso il “non-rumore” e amplificati quanto a comunicazione per renderli coerenti con l'identità del movimento e mai confondibili con le altre forze politiche;
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Partito Democratico (Renzi): la posizione di forza politica al potere rende obbligatoria una comunicazione più coerente e pacata, più istituzionale. Questa posizione forzata è sembrata scomoda durante l'ultima campagna referendaria, risultando in un infruttuoso tentativo dell'ex premier di alzare i toni per imitare la forza dei messaggi delle opposizioni e in un altrettando fragoroso silenzio meditativo dopo la sconfitta alle urne. A fronte di un posizionamento piuttosto univoco all'interno del grafico, il PD mostra ampi scostamenti che hanno creato una certa “crisi identitaria” presso il target, con una potenziale disaffezione la cui redemption sarà certamente oggetto delle strategie future.
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Lega Nord (Salvini): non distante dal M5S per quanto riguarda una costante denuncia nei confronti della forza politica al comando ma meno caotico negli spostamenti nonostante sia sempre forte nei toni, il partito capitanato da Salvini assume una posizione meno estrema e più statica che dimostra una maggiore esperienza di esercizio del potere. I messaggi sono contraddittori nel lungo periodo, seguendo come una moda l'elemento euforico, ma fortemente coerenti nel breve termine e generano così un'identità riconoscibile.
A cosa può essere utile questo strumento di analisi? Le funzioni che svolge sono due: da un lato permette di avere una visione immediata del confronto comunicativo fra le varie forze politiche, consentendo di ipotizzare le strategie sottostanti e le loro direzioni con un buon margine di approssimazione. Dall'altro, afferendo ad elementi di natura timica, può misurare la corrispondenza dinamica (e perché no, la sua evoluzione) fra i valori trasmessi dai messaggi politici e quelli identificati come “buoni” (il riferimento è alla Gestalt) per il target, che ricordo essere costituito dagli elettori.
Come scritto in precedenza, questo scritto abbozza la sola analisi di un elemento che riguarda la comunicazione formale, riducendo di molto la complessità del fenomeno. Sarebbe interessante enucleare altri fattori che possono derivare dagli stessi elementi timici come pure da altri considerabili come influenti nel processo decisionale del target, per ottenere così un quadro più completo e dalle capacità predittive migliori.
Concludo con un'ultima nota: dal punto di vista umanistico, questo breve post suona come una bestemmia perché ho creato uno strumento e l'ho giustificato in pochissime parole e senza almeno una cinquantina di pagine di doverosi riferimenti bibliografici. Viceversa, dal punto di vista del marketing è fin troppo lungo. L'ideale sarebbe leggerlo come un sassolino gettato nello stagno della comunicazione politica, con l'intento di far nascere una discussione riguardo a come viene costruita la narrazione cui assistiamo quotidianamente e in che direzione possiamo aspettarci che questa vada in vista delle prossime elezioni.
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