Sanremo 2018 - duemiladiciotto? ma davvero?


Giuro che questa volta non volevo fare le recensioni del Festival di Sanremo, lo giuro davvero.
Poi però qualche amico le ha chieste apertamente e io ho la forza di carattere di un'ameba quando si tratta di cedere alle lusinghe, per cui rieccoci qua.
Come ogni anno, mi rifiuto di guardare le intere serate del festival, aiutato dal fatto di non avere la televisione e – coincidenza fortuita – non mi funziona neppure il plugin di Raiplay per Kodi. Mi fiondo dunque sul sito della Rai per scoprire con piacere che è possibile trovare i video delle singole canzoni in gara, anche se sono tagliati malissimo in coda e bisogna pupparsi almeno quindici secondi di pubblicità prima di ognuno. Voi, sì proprio voi che avete voluto queste recensioni, sappiate che mi dovete una birra!

Tolto l'interesse per gli spettacoli di contorno, le scollature, i finti momenti imbarazzanti, rimangono pochi minuti di musica inedita ed è su quelli che mi concentro.
La regola è: un singolo ascolto per ogni brano. Prima che il mercato musicale mi imponga di sentire queste canzoni fino alla nausea, devono riuscire a colpirmi da subito.

Ce la faranno? 
SIGLAAAA!

 

Siglaaaa - fonte: today.it

 

AnnalisaIl mondo prima di te

Apre le danze Annalisa, accompagnata da arditi effetti di regia che non riescono a comunque a distogliere la mia attenzione da un paio di sopracciglia oggettivamente inquietanti. Il brano che presenta la cantante ha una struttura a dir poco innovativa: riff di pianoforte, poi lo stesso riff raddoppiato dai cori, strofa a voce bassa e ritornello in crescendo con acuto di picco al secondo ritornello. Mai, mai e poi mai si era vista una canzone organizzata in tale inusitato modo, tanto che il pubblico si fa disorientare e gli applausi partono a caso in una breve pausa prima della coda del brano. O forse era un segnale per congedare anticipatamente Annalisa? Ai posteri l'ardua sentenza...

 

RonAlmeno pensami

Il primo dei giovani in gara si presenta sul palco dell'Ariston imbracciando una chitarra ma questa volta, invece di proporre una cover degli Extreme, consegna al mondo un brano inedito di Lucio Dalla. Lo stile, in effetti, si sente forte e chiaro fin dalle prime note. A questo punto viene da chiedersi se Dalla avesse voluto occultare questa canzone per evitare un paio di minuti di malinconia ai suoi fan, laddove “malinconia” è un eufemismo per “sfrondamento di gonadi”.
Comunque Ron porta a casa una buona esibizione e potrebbe anche avere un discreto riscontro di pubblico in futuro.
Nota a margine: solo io penso che nei primi piani assomigli sempre di più a Johnny Dorelli?

 

The KolorsFrida

Minuti di puro panico! Un oscuro personaggio, un tentativo criminale di incrocio fra George Michael e Freddy Mercury (ma solo a livello di look, perché appena apre la bocca...), rigurgitato dagli anfratti più reconditi e imbarazzanti degli anni Ottanta, avvia a colpi di tamburo una canzone in uno stile boy band fuori moda da tre decadi, malamente svecchiato da uno tsunami di riverberi fuori scala. Dall'orchestra si percepiscono chiari moti di sdegno fino al bridge strumentale, in cui l'arrangiatore dimostra grande impegno nel dare almeno un contentino alla legione di professionisti ai bordi della quinta scenica, che altrimenti avrebbero avuto tutti i motivi per disertare la performance. Sappiate che sto prendendo a testate lo spigolo della scrivania per togliermi dagli occhi l'immagine dei “The Kolors”. Per dimenticare la canzone non c'è problema, bastano cinque secondi.

 

Max GazzéLa leggenda di Cristalda e Pizzomunno

Non sono mai stato un grande fan di Max Gazzé ma ammetto che ha i suoi momenti. La leggenda di Cristalda e Pizzomunno è una graziosa poesia accompagnata da una base squisitamente sanremese, un piccolo tentativo di portare un tocco di classe alla kermesse senza voler a tutti i costi fare gli alternativi imborghesiti o gli struggenti radical chic. Non mi sbilancerò fino a fare il tifo per Gazzé ma devo dire che non mi ha affatto lasciato la sensazione di aver sprecato due minuti della mia vita. Gli perdono anche gli acuti – parola grossa, per la sua voce – calanti, sapientemente minimizzati dal fonico nel secondo ritornello.
Sarà divertentissimo, nelle prossime settimane, sentire come le persone storpieranno il titolo di questa canzone quando la chiederanno in radio.

 

Ornella Vanoni con Bungaro e PacificoImparare ad amarsi

Non so chi siano Bungaro e Pacifico ma, vista la presenza della Vanoni, non mi aspetto certamente di ascoltare qualcosa sul tiro dei Dimmu Borgir.

...e invece mi sbaglio. Beh, sì, circa. Rispetto ai lenti tritapalle che si sono succeduti finora, “Imparare ad amarsi” è molto più lento e molto più tritapalle, roba che neanche nel doom metal. Il brano di Annalisa, a confronto, è selvaggio rock and roll.
Ciò detto, bisogna fare una considerazione: invecchiare bene non è facile e forse dipende in larga parte dalla fortuna. Quando però per dimostrare qualche anno in meno ti zavorri di botulino fino a far fatica nell'articolare le parole, in questo caso nel fare il tuo lavoro, è ora di cominciare a porsi qualche domanda.

 

Ermal Meta e Fabrizio MoroNon mi avete fatto niente

Ecco giungere il momento del testo impegnato. Me lo aspettavo, in ogni Sanremo che si rispetti ce ne sono almeno un paio e tendono a piazzarsi bene nella classifica finale, oltre a vendere un bel po' di copie e passare in radio costantemente per qualche mese. Sono forse questi aspetti che mi lasciano sempre un po' sospettoso nei confronti di questi brani, perché sembrano sempre frutto di strategie ben ragionate piuttosto che profonde ed impegnate espressioni artistiche.
“Non mi avete fatto niente” non mi lascia un granché dopo l'ascolto, soprattutto non mi trasmette quel senso di denuncia sociale che forse si prefiggevano Meta e Moro. Magari un bel video evocativo aiuterà la canzone ad acquistare quello spessore che ora non ha.
A dirla tutta, neanche l'esibizione mi ha convinto troppo.

 

Mario Biondi Rivederti

Atmosfere jazz per Mario Biondi: spazzole sulla batteria, contrabbasso, pianoforte, voce bassa e vellutata. Chiudendo gli occhi, sembra di stare in un fumoso piano bar dove coppie elegantemente vestite sorseggiano cocktail dai nomi impronunciabili (e dal costo proibitivo) nell'intima penombra che prelude alla copula fuori scena. Oppure ad un'invasione di zombie, non si sa mai come vanno a finire queste cose. A metà brano l'orchestra gonfia il petto e mi ricorda che ci troviamo al festival della canzone italiana, anche se giunto a questo punto degli ascolti mi rendo conto che la tentazione di sbronzarmi a merda c'è, altro che cocktail.
Ottima performance di Mario Biondi, senza dubbio, ma ha davvero presentato un'idea che merita più delle altre? Mah...

 

Roby Facchinetti e Riccardo FogliIl segreto del tempo

Sono un po' combattuto nel cercare di decifrare l'esibizione della strana coppia. I due si presentano seduti vicini vicini al pianoforte - che poi abbandoneranno a metà canzone - toccandosi costantemente a vicenda, guardandosi negli occhi a dieci centimetri di distanza, mettendo insomma in scena tutta quella gestualità che è propria dei duetti uomo-donna. Nulla di male, beninteso, ma nel caso di Facchinetti e Fogli c'è una onnipresente sensazione di forzatura e questa, unita ad una prova canora ben al di sotto delle loro possibilità, fa in modo che attenda trepidante la fine del supplizio. Che dire dell'aspetto musicale? I Pooh, se non altro, sono diventati famosi per melodie che ti si stampano in mente fin dal primo ascolto, condite non di rado con una vaghezza di groove ritmico. “Il segreto del tempo” non ha niente di tutto ciò: ad una morbida linea vocale fa da contraltare una ritmica dalla cadenza molto presente e questi due elementi fanno un po' a pugni fra loro.
Caspita, finora ho ascoltato otto brani e non riesco a trovare un singolo motivo per cui uno dovrebbe prevalere sugli altri. Andiamo benissimo...

 

Lo stato socialeUna vita in vacanza

Pianificando la loro partecipazione a Sanremo, mi immagino una riunione fra band e management su questi toni:
- Ok, che pezzo portiamo?
- Dobbiamo fare qualcosa che sia di denuncia sociale, ma divertente, che una roba del genere ha vinto lo scorso anno e magari porta bene!
- Perfetto! E se ci mettessimo anche una parola forte, tipo “puttana”? Dai che scandalizziamo quelle vecchie cariatidi del pubblico.
- No, puttana no, l'aveva già fatto qualcuno e sembra che non siamo originali. Mettiamo “coglioni”, che magari poi i giornalisti ci leggono dell'autoironia e facciamo un figurone.
- Ok, vada per “coglioni”. Però ci vuole anche un elemento visivo. L'anno scorso c'era il gorilla, ma non dobbiamo dare l'idea di voler cercare di vincere copiando “Occidentalis Karma”. Serve qualcosa di sanremese ma che non sia del tutto sanremese...
- Tipo un balletto?
- Ecco, sì, un balletto. Ma cheppalle il balletto, non si può farlo in modo diverso?
- Uhm... prima si parlava di vecchie cariatidi... e se facessimo ballare una novantenne?
- Una novantenne? Mica vorrai scrivere un valzer!
- No no, prendiamo una novantenne e la spacchiamo di rock acrobatico!
- Figata! Ma esiste una del genere? Se poi si fa male sul palco, la nostra immagine viene danneggiata.
- Vedrai che la troviamo, adesso mi attacco a Youtube e sicuramente qualcosa salta fuori.
- Ok, mitico! Che bomba, questo pezzo si scrive praticamente da solo!

…e così i ragazzi de “Lo stato sociale” arrivano sul palco dell'Ariston, dimenticandosi però che le linee vocali vanno effettivamente cantate e che la voce è un potentissimo strumento dotato di una caratteristica meravigliosa: la dinamica!
Solo io penso che gli alternativi non stiano alternando più nulla?

 

Noemi Non smettere mai di cercarmi

Noemi arriva, canta la stessa canzone di sempre e se ne va.

 

Decibel Lettera dal Duca

Ruggeri mi è sempre piaciuto, come mi piacciono molte canzoni della sua carriera e questa non fa eccezione. Forse è meglio puntualizzare: non mi straccerò le vesti per questa “Lettera dal Duca”, però rispetto a quanto la Rai ha passato finora ci troviamo di fronte ad una proposta più interessante. L'armonia del ritornello è ricercata, molto inglese nello stile, e fa perdonare una performance vocale un po' sfiatata.
Poi, dai, quello dietro è sicuramente il bassista dei Manowar!

 

Elio e le Storie TeseArrivedorci

Gli Elii possono piacere o non piacere, ma non si può certo dire che non abbiano una cura eccellente dei dettagli. Dopo aver scelto di usare il Festival come piattaforma di atterraggio e non di lancio, si presentano con quella che è a tutti gli effetti una sigla finale. Il brano comincia con i giochetti di parole che hanno caratterizzato l'inizio della storia del gruppo, poi parla della carriera del gruppo stesso e si conclude con una lunga coda che termina canzone e carriera, mescolando sapida ironia e un velo di tristezza.
Grazie, Elii!

 

Giovanni CaccamoEterno

Anni e anni di ascolto obbligato della radio sul posto di lavoro mi hanno insegnato che il 98% delle persone che telefonano per fare richieste si divide in due categorie:
1. Sono triste e disperato/a, quindi voglio sentire una canzone struggente;
2. Sono innamorato/a, quindi voglio dimostrare la profondità del mio animo dedicando una canzone struggente.
Caccamo, come molti altri artisti di questo Sanremo, la gioca facile con un brano rivolto a questo filone di maniaci depressivi per fare cassa con la Siae sui passaggi radiofonici. Questo è quel tipo di proposta musicale che dovrebbe essere derubricato da “arte” a “investimento sicuro”, come gli appartamenti da affittare nelle zone turistiche.
Sorvolo sull'acuto. Dannazione, perché tutti i brani sanremesi devono fare perno sul massimo acuto dell'interprete? Cos'è, una gara a chi ce l'ha più lungo?

 

Red CanzianOgnuno ha il suo racconto

Nella sfida interna ai Pooh, Red Canzian è sicuramente il vincitore. Il ritmo del suo brano è molto simile a quello di Facchinetti/Fogli ma almeno stavolta viene portato dalla batteria, diventando così il primo groove di Sanremo 2018. Ottima anche la prova vocale. Mi è piaciuta la canzone? Assolutamente no, ma funziona.

 

Luca BarbarossaPassame er sale

Un buon festival deve, deve, DEVE contenere un pizzico di tradizioni locali ed è Luca Barbarossa ad assumersi la responsabilità di adempiere a questo incarico, presentando un brano in dialetto romanesco. “Passame er sale” scorre senza – perdonatemi il gioco di parole – momenti salienti. Ben scritto, ben arrangiato, ben eseguito, tematiche note affrontate in modi noti, la sagra del già visto e già sentito ma confezionato con cura. Voto: meh.

 

Diodato e Roy Paci Adesso

Grazie alla presenza di Roy Paci possiamo goderci un assolo di tromba come introduzione di un brano, assolo a cui si sovrappone a tradimento una voce che borbotta parole incomprensibili. Dopo la partenza incerta, Diodato si rende interprete di un'interpretazione canora pulita ed emozionale, almeno fino alla fine del primo ritornello. Poi lo stile sanremese impone di scendere di nuovo e lì si capisce che il registro basso non è nelle corde del cantante. Gli inserti di tromba, però, sono carini anche se in alcuni tratti calano lievemente di intonazione.

 

Nina Zilli Senza appartenere

Siamo al diciassettesimo brano che ascolto e comincio legittimamente a chiedermi se a questo punto il pianista dell'orchestra abbia ricevuto un meritatissimo aumento di stipendio, visto quanti arrangiatori hanno pensato che una morbida linea di pianoforte fosse la scelta vincente per un'introduzione. Ma sì, in fondo chi non l'ha mai fatto prima?
Nina Zilli presenta un brano sulle donne senza sentire il bisogno di affrontare l'argomento come una guerra di genere, cosa di cui la ringrazio personalmente. “Senza appartenere” veste la voce della cantante come un guanto, molto meglio di altre cose che le ho sentito fare in passato.
La canzone in sé mi scorre via in modo anonimo, annegando placidamente nell'uniforme palude di questa edizione del festival.

 

Renzo RubinoCustodire

Se è vero che il pianoforte è abusato a livello musicale, per quanto riguarda il video è legittimo pensare che le chitarre PRS siano fra gli sponsor della manifestazione, vista la mole di inquadrature che si è beccata la loro caratteristica tastiera.
Veniamo a “Custodire” di Renzo Rubino: a dirla tutta, preferivo Rubino quando cantava di postini gay. Un'esibizione tutt'altro che eccelsa non aiuta a risollevare le sorti di una canzone musicalmente anonima e con un testo che alterna idee interessanti a soluzioni banali. Per intenderci, non puoi dire “non poteva che sbocciare un cardo viola” e nella frase successiva sparare la rima “esistere-resistere”. Dai, su.
In compenso, Rubino è stato uno di quelli che ha guardato di meno il gobbo in fondo alla sala, bisogna riconoscerlo.

 

Enzo Avitabile con Peppe ServilloIl coraggio di ogni giorno

A me piacciono le canzoni di denuncia sociale, sono anzi fortemente convinto di quanta forza abbia la musica per trasmettere idee positive ad una vasta platea e unirla sotto una giusta bandiera. Ricordo con una certa emozione quando Faletti presentò “Signor tenente” su quello stesso palco nel 1994. “Il coraggio di ogni giorno”, purtroppo, non riesce ad eguagliare quel livello di espressività, forse a causa di una base musicale che gira e gira ma non sembra avere alcuna destinazione precisa, forse anche per una parte in un dialetto che non capisco. Apprezzo comunque la volontà.

 

Le vibrazioniCosì sbagliato

Le vibrazioni arrivano e suonano un pezzo delle Vibrazioni. Così, uno qualunque. Non sto dicendo che la riconoscibilità dello stile sia un punto negativo e sì, se si fossero lanciati in tutt'altro avrei criticato comunque la scelta, però quando ti presenti all'evento che dovrebbe rappresentare il trend setting della musica italiana mi aspetto qualcosa di più. Però il batterista pesta per davvero, cosa che fa suonare la sveglia prima del resto che... no, un attimo: questa è l'ultima canzone in gara fra i big. Cosa? Davvero? Oh, caz...

 

Chi vincerà questa edizione della kermesse musicale? Non lo so, non mi interessa, non sono neanche motivato ad azzardare un pronostico. In passato ci sono state volte in cui ho indovinato ed altre no. Quando ad esempio hanno cantato i ragazzi de “Il volo” non c'è stato neanche bisogno di ascoltare gli altri brani in concorso per sapere che avrebbero vinto loro. Criticatela quanto volete, ma la loro canzone sudava letteralmente vittoria. Al contrario, non avrei mai scommesso sugli “Stadio”.

Leggo su Facebook molti commenti positivi alla direzione artistica di Claudio Baglioni e a come sia riuscito ad innalzare il livello musicale. Non sono d'accordo, nel modo più assoluto. Nulla colpisce veramente l'attenzione: fra i lenti sempre uguali a sé stessi spiccano un po' i Decibel, per quanto non stiano in realtà innovando alcunché. I The Kolors farebbero fatica a suonare freschi negli anni Novanta e se mi trovassi a dover fare il tifo per uno fra i brani più ritmati, temo sarebbe per Red Canzian, se non altro per la qualità della sua esibizione.

Perché questo scempio? La canzone italiana tradizionale a cui sembra si faccia riferimento è quella che generava hit internazionali, non di rado scritta da professionisti che venivano dal teatro. Oggi non si fa scuola, si insegue. Spesso scopiazzando malamente. Il rischio diventa quindi quello di ricercare la tradizione suonando semplicemente “vecchi”, il che porta pochi rischi e garantisce comunque di colpire un target che in realtà non vuole evolvere oltre all'esaltazione del culto di fasti passati.

 

Vabbé, dai, ormai anche per quest'anno è passata e come sempre Sanremo ci lascia con la garanzia che nei prossimi mesi avremo modo di stufarci di sentire i brani in gara e che l'anno prossimo ci ritroveremo nuovamente nello stesso, identico punto.

 

Gadjet



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